Resilienza

“Le difficoltà rafforzano la mente, così come il lavoro irrobustisce il corpo” (Seneca).

“Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo resalio. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui”. (da “Resisto dunque sono” di Pietro Trabucchi).

Nulla accade per caso.
Così, anche quegli eventi che possono apparire negativi, portano con sé delle conseguenze imprevedibili. Al di là delle nostre aspettative innescano meccanismi che portano alla trasformazione, all’evoluzione. Scossoni a cui seguono reazioni esteriori ed interiori.

Dolore, lacrime, vita in affanno. Non c’è un’età per queste prove, ma tredici è stato il primo numero che il destino ha scelto per Giovanna. Non più bambina, non ancora donna.

In questa età di mezzo, in un letto di ospedale i dottori praticavano una nefrectomia parziale con cui asportavano un rene.

“Un intervento da fare, in un’età in cui i genitori sanno quale è il tuo bene”, così lei ricorda quei momenti.

Eppure in un edificio i cui colori asettici tengono lontani anche i sorrisi di un’adolescente, la prima operazione si concluse.

Tutto bene, a detta dei medici, quando in realtà bene non andava per nulla. Così, nel corso degli anni, antibiotici e antidolorifici divennero un pasto regolare nella sua vita. Fino all’ultima diagnosi: nefrite cronica.

Da qui una seconda operazione programmata per rimediare alla prima. Il risveglio dall’anestesia è facile. Più complicato il secondo risveglio, ovvero quello della presa di coscienza. Vivere, convivere senza più il dolore, ma con una compagna in più. La cicatrice. Un segno nel fisico e nell’anima. Così evidente quella esterna, così come quella interiore.

“All’inizio mi sentivo diversa, impacciata, un’estranea, per poi accorgermi di essere unica”.
La resilienza di Giovanna è un inno al risveglio della nostra bellezza ed unicità. Una cicatrice che racconta un po’ di noi, per chi non ha mai smesso di lottare, ma vive, agisce, reagisce e si risolleva, per ergersi più in alto di prima.

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ANDREA PUXEDDU FOTOGRAFO